Parla il Regista di Red Land “Le Foibe furono un genocidio” | Intervista a Maximiliano Hernando Bruno
Maximiliano Hernando Bruno sul set |
Come mai ha scelto di raccontare Le Foibe?
Erano più di 10 anni che volevamo raccontare questa pagina nera della storia al cinema: lo avevamo già fatto attraverso una serie di documentari sull’esodo istriano, raccontando la storia di Norma Cossetto e delle Foibe. Avevamo però il bisogno di raccontarlo anche attraverso un progetto più grande (il documentario rimane relegato a qualcosa di più piccolo, a differenza di un film) e la mia idea era di puntare su un qualcosa che potesse avere un forte impatto visivo. Il film dà delle emozioni visive forti, che rimangono impresse. Così è nato Red Land. Sapevo già che di questo film se ne sarebbe parlato molto e che, se ci fossero state delle falle a livello tecnico, sarebbe stato facilmente attaccabile. È per questo che ho curato al massimo ogni aspetto del film: dalle scenografie ai costumi, puntando sia su nomi forti come Franco Nero, Geraldine Chaplin e Sandra Ceccarelli sia su attori giovani e bravi, dalla recitazione molto vera. Sono riuscito nel mio intento, poiché le critiche giunte sono infatti concentrate unicamente su aspetti politici (discutibili): parliamo di persone che vogliono negare quello che veramente è accaduto. A tal proposito il Presidente Mattarella si è espresso in maniera molto chiara, riconoscendo, per la prima volta nella storia della repubblica Italiana che il massacro delle foibe fu effettuato su civili e innocenti. Raccontare questa storia attraverso il cinema ha permesso all’opera cinematografica che ne è nata non solo di raggiungere tutta l’Italia [dopo essere uscito al cinema, trasmesso in via eccezionale in prima visione ha raggiunto un milione di spettatori, N.D.R] ma anche di oltrepassarne i confini: la prima tappa transnazionale sarà infatti a Los Angeles, il 20 febbraio.
Il regista e Maria Vittoria Casarotti Todeschini (Licia nel film) |
Le sue origini italo-argentine hanno influito sulla scelta della tematica storica?
Ho nonni e mamma italiani, mentre mio papà è argentino nato da genitori spagnoli. Io sono nato in Argentina e sono ritornato in Italia all’età di 11 anni, quando mia mamma ha sentito il bisogno di ritornare nella sua terra d’origine. In me v’è un mix di cultura italica e ispanica. Certamente la storia che riguarda la mia famiglia ha influito sul film che ho prodotto e diretto: alla base v’è la Seconda Guerra Mondiale che coinvolse i miei nonni che scapparono dai bombardamenti su Scafa, in provincia di Pescara, ed emigrarono in Argentina. La tematica delle foibe non ha toccato la mia famiglia, ma l’esodo e il dover lasciare la propria terra sì. Quello che accadde per gli istriani è successo anche per i miei nonni.
Prima di dirigere, ha recitato, tra gli altri film, anche nel Leone di Vetro, film sul Veneto preunitario. Cosa pensa del revisionismo storico?
Revisionismo storico in realtà non è una brutta parola. Andare a rivedere la storia e far riemergere certe sfumature messe da parte non è un male ma un bene, è importante per capire meglio. Se nell’analisi della Seconda Guerra Mondiale ci si limita a raccontare che hanno vinto i buoni contro i cattivi è riduttivo per quella che invece è stata una guerra piena di sfumature molto più complessa, in cui occorre tirare fuori ogni aspetto, ogni verità. In Istria i partigiani iugoslavi compirono un gesto criminale: vennero infoibate persone che non erano fasciste, che non avevano ucciso nessuno. È un fatto che va raccontato, proprio per non ritornarne alla narrazione buoni vs cattivi, e non vale solo per questa vicenda, ve ne sono molte altre di scomode: ad esempio i vari casi di stupro da parte degli americani e dei canadesi in Francia, in un territorio in realtà amico, che era da liberare, o da parte dei sovietici che scendevano verso la Germania, passando per la Polonia… il revisionismo è buona cosa, che ci permette di raggiungere la consapevolezza che ci serve per farci capire quanto la guerra sia sporca: se combatti, prima o poi ti macchierai di sangue.
Regista e attore. Maximiliano Hernando Bruno (a sx) nei panni del partigiano Giorgio |
Com’è stato il passaggio da attore a regista?
Non è stato difficile: conoscendo il mestiere dell’attore, e conoscendo anche quello che l’attore prova durante le riprese, ho potuto confrontarmi con gli attori per capire come affrontare le scene. Conoscevo il loro linguaggio, e ho lavoravo con esempi e meccanismi che prima di loro avevo studiato anch’io. Il problema di molti registi è che non sanno comunicare con gli attori, perché non hanno mai fatto una scuola di recitazione e non si sono mai trovati oltre la telecamera, mentre per me tutto ciò è stato semplice. Avevo in mente in maniera molto forte cosa volevo raccontare e come volevo farlo e quindi molte volte ho improvvisato. È stato tutto molto fluido, nonostante fosse il mio primo film mi sono sentito molto a mio agio e ho scoperto nelle mie corde qualcosa di recondito che prima non conoscevo. L’esperienza di stare dall’altra parte della videocamera mi ha fatto capire molto più di quanto mi aspettassi.
Red Land sbarcherà a Los Angeles, il 20 febbraio. Cosa prova?
Parto domenica, con Franco Nero sarò alla proiezione al Chinese Theatre il 20 febbraio. Ho vissuto negli USA: un anno a Los Angeles, un anno a New York… studiavo, recitavo, lavoravo… ma tornarvi per presentare il mio film, ora, è un sogno. È il chiudersi di un cerchio di vent’anni di carriera, sono emozioni molto forti che talvolta non riesci a vivere pienamente, perché sei preso dal lavoro, ma ogni tanto ti fermi a riflettere e le consideri in tutta la sua grandezza.
Com’è stata la ricostruzione storica di Red Land? Dove avete girato le scene principali?
È stata una ricostruzione scenica molto complessa, abbiamo girato in tanti posti diversi. Abbiamo ricostruito a livello scenografico l’Istria, e per farlo abbiamo scelto location del tutto diverse, a livello di locazione. Dai paesi dell’Istria al Veneto, dove, sui colli di Arquà Petrarca abbiamo girato alcune scene che riguardano il paese di Visinada. abbiamo reso lo stesso paese con location diverse, poiché la macchina del cinema annulla tali differenze. È stato invece un aspetto molto difficile girare un film storico, ambientato nel ’43: abbiamo dovuto ricreare tutto quello che c’era all’epoca, macchine, manifesti, e stare attenti ad ogni tipo di inquinamento: dalle antenne, ai cavi, a qualsiasi cosa moderna. Per quanto riguarda invece le scene delle foibe è stato difficile trovare luoghi in cui fosse possibile girare: in una foiba, in effetti, c’è il rischio di cadere e farsi seriamente male, così abbiamo optato per girare in due foibe diverse, una per l’approccio dei condannati sopra di essa e un’altra per le cadute delle vittime in essa. Bisognava trovare anche un posto comodo per le riprese e sicuro per gli attori.
Nel film da lei diretto, interpreta anche un personaggio importante. Com’è recitare nel film che si dirige?
Ero coinvolto così tanto nel film che mi veniva in automatico trovarmi dall’altra parte della macchina da presa, non pensavo fosse stato così facile per me immedesimarmi in più ruoli, forse proprio il fatto che il regista fossi io questo mi ha permesso di andare in scena più rilassato: conoscendo il dettaglio ero più fluido del normale. E poi, avendo più cose sui cui concentrarmi mi ha consentito di essere più libero: il regista ero io, non ero condizionato da altre persone, potevo veramente seguire totalmente il mio istinto.
Com’è stato lavorare con attori famosi come Franco Nero, Geraldine Chaplin e Sandra Ceccarelli?
Certi attori non si dirigono, si lasciano fare. Franco Nero, come Geraldine Chaplin e Sandra Ceccarelli sono degli attori coi quali basta poco: non serve più di tanto, basta raccontare loro la scena. Sono molto disponibili, alla mano, sicuri di loro stessi e quindi questo crea un clima di lavoro molto buono, tirano fuori quello che sanno fare.
Come hai scelto gli attori protagonisti non noti?
Alcuni li conoscevo già, altri li ho scoperti io. Anche quelli apparentemente meno conosciuti hanno un’esperienza molto forte alle spalle: Selene Gandini che al cinema ha fatto pochi ruoli, ha però una carriera teatrale molto importante, era la pupilla di Albertazzi da quando era bambina e sul set è riuscita a tirare fuori cose sensazionali. Non era assolutamente facile: dalla scena dello stupro, ad altre scene girate in inverno, seminuda… quello di Norma Cossetto era un ruolo molto difficile, lei è stata molto avvantaggiata dalla somiglianza con il personaggio, che ha influito molto sulla scelta di lei come attrice. Sono felice poi di aver dato volti nuovi al cinema, scoprendo talenti, come Romeo Grabensek: l’ho scoperto durante un provino a Trieste, è veramente fantastico. Con altri come Diego Pagotto e Carla Stella avevo già lavorato a il Leone di Vetro, con Eleonora Bolla in un docufilm su Hemingway. L’atteggiamento degli attori più giovani al cospetto di “mostri sacri” come Franco Nero e gli altri è stato di fiducia e di rispetto, portando così a una magnifica cooperazione.
Maximiliano Hernando Bruno dirige Franco Nero |
Selene Gandini |
Veramente un’esperienza forte, perché in quel momento c’è stato un cambio, un abbattimento di un muro che durava da diverso tempo. Per la prima volta nella storia della Repubblica, un Presidente ha detto le cose come stanno, affermando che quello che è successo non è stato come alcuni negazionisti vogliono asserire, ovvero una vendetta dei comunisti nei confronti dei fascisti, ma una vera e propria una caccia all’italiano: le foibe furono un genocidio. Il riscontro nazionale delle parole del presidente Mattarella è senz’altro una svolta storica all’interno del nostro paese. Una storia che finora era stata espressa in maniera blanda dopo l’istituzione del giorno del Ricordo, è stata finalmente resa chiara da parte della massima autorità. Le foibe non furono una vendetta su pochi, ma un atto criminale, un genocidio da parte dei comunisti iugoslavi su persone che spesso col fascismo non avevano nulla a che fare ma erano solo italiani.
Maximiliano Hernando Bruno con Geraldine Chaplin |
Quello che ho messo nel film fa parte di me, è la mia presa di coscienza avuta in questi anni nei quali mi sono dedicato a me stesso, oltre che dedicarmi al cinema. Ho avuto percorsi spirituali, sull’invisibile, sull’animo umano, sull’agire dell’inconscio. La mia è stata una ricerca molto vasta, un percorso di studio molto importante: dalla psicologia umana a come agisce il subconscio nelle persone, ho studiato anche il paranormale, e di tutto ciò credo che molto sia filtrato nel mio film. 10 persone lo racconterebbero in 10 modi diversi, ognuno a seconda del proprio percorso. Ed è questo che volevo fare: toccare l’archetipo dell’essere umano.
Sul set di Red Land |
Nessun commento:
Posta un commento